lunedì 18 gennaio 2010

Alle cucine economiche di Porta Nuova


Attilio Pusterla, Alle cucine economiche di Porta Nuova, 1887, Milano, Galleria d'Arte Moderna

Quest'opera, per lungo tempo ritenuta l'unica superstite del catalogo di Pusterla, è stata anche la fonte di una sua parziale fortuna, presentandosi indubbiamente come una delle tele più interessanti nel panorama della pittura della seconda metà del secolo XIX.

Partiamo, nell'analisi del dipinto, dal titolo prescelto. Pusterla ci mostra, in questa scelta a mio parere per niente casuale, il suo punto di vista privilegiato della sua pittura. Suo obiettivo non è mostrarci l'interno di uno spazio assistenziale, uno tra gli spazi della topografia milanese, ma indurci ad osservare le persone che si recano alle cucine economiche: l'obiettivo è fissato sulle storie, i volti.

Egli, pure, raffigura uno spazio reale: le cucine dell'Opera Pia Cucine Economiche, inaugurate nel 1883 presso Porta Nuova, ed affacciate in quel tempo sul naviglio. Pur essendo cambiato completamente il contesto, lo stabile delle Cucine Economiche è tuttora esistente, quasi reliquia di una Milano che non c'è più.

Luogo quasi simbolico dell'indigenza milanese, esse furono ideate in una zona, quella di Porta Nuova, caratterizzata da grande dinamismo economico, segnata dalla presenza di industrie come la Grondona, l'Elvetica, la Pirelli, per non parlare delle attività legate al trasporto ferroviario. Tutto ciò aveva determinato un consistente afflusso di popolazione operaia, “che aveva trovato alloggio in tipologie residenziali ubbidienti alla logica elementare di minimizzare la spesa dell'abitazione sui modestissimi redditi”, attratta dalle vicine industrie. Nella scelta del luogo non fu neppure estranea la considerazione sulla vicinanza di una linea del tramway.

Sorto al fine di garantire pasti di buona qualità e a prezzi calmierati ad operai e famiglie non abbienti, l'edificio era incentrato su di un vasto refettorio, capace di ospitare fino a 160 ospiti. E' questo lo spazio che Pusterla sceglie di raffigurare, con un taglio compositivo ardito, quasi fotografico, e con una forte attenzione all'esattezza del dato reale, tanto che l'immagine è facilmente confrontabile con testimonianze figurative, con intenti evidentemente differenti, provenienti dalla stampa periodica dell'epoca. Solo una licenza dell'autore è macroscopica: ai tavoli sono raffigurate anche alcune donne, mentre secondo gli studi in realtà era operata la divisione tra i sessi. Il dato che più impressiona è lo spazio interno, interamente congestionato di persone, tanto che a malapena si riesce ad osservare una parte di uno dei tavoli, in primissimo piano. I personaggi presenti sono delineati con buona varietà fisionomica, ben individuati nei primi piani, poi via via sempre più sfumati, resi a macchie di colore. Si osserva anche, quasi ad accrescere il tono “documentaristico” dell'opera, la scelta di Pusterla di inserire le scritte realmente esistenti nel locale. La gamma cromatica, piuttosto chiara, della tela, si gioca quasi interamente su tre toni: bruno, ocra, celeste. Escono da questo schema le due improvvise accensioni di rosso sul copricapo della vecchia raffigurata di spalle, e l'abitino della commovente bambina addormentata in braccio alla madre, uno dei pochi personaggi in piedi. Non vi è azione, se non quella legata al nutrirsi; per citare un articolo che esamineremo tra poco “è un abbassarsi e levarsi veloce di teste; è un acciottolio continuato”; se ne discostano solo due figure femminili, la madre in piedi e una ragazza, che col volto un po' assorto osserva al di là delle teste che ha di fronte.

Dobbiamo osservare come nella critica successiva siano dominanti due linee di lettura dello stile di Pusterla in quest'opera: da un lato coloro i quali vedono forte un'impronta di stampo “impressionista”, suggestionati, come si diceva, dagli echi manettiani presenti nel dipinto, come anche dalla luminosa gamma cromatica; dall'altra parte, coloro i quali, a partire da quest'opera, mirano a vedere nel pittore milanese un anticipatore, o un “fiancheggiatore” delle ricerche divisioniste.


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